Quartetto Guadagnini, recensione concerto IUC

La bravura del quartetto è ulteriormente dimostrata nella perfetta e calibrata esecuzione del Quartetto in do minore op. 51 di Johannes Brahms
Il Quartetto Guadagnini dimostra al pubblico la capacità di spaziare in maniera disinvolta tra questi grandi maestri
— Alessandro Alfieri, persinsala

Il viaggio musicale che il Quartetto Guadagnini ha offerto al pubblico dell’Aula Magna della Sapienza il 27 marzo è stato un programma originale e affascinante, che ha concesso agli ascoltatori una panoramica sulla modernità musicale in tutte le sue numerose sfaccettature.
I quattro giovani archi, attivi dal 2012 e ormai riconosciuti come una delle realtà più significative della musica da camera a livello nazionale, hanno proposto tre opere straordinarie, emblematiche di tre epoche distinte, ma affiancate e accomunate dallo spirito rivoluzionario dello stile e dalla loro energia.

L’apertura è stata affidata a un grande classico della musica da camera del Settecento, il Quartetto in do maggiore Kaiserquartett, denominato “Imperatore”, di Franz Joseph Haydn. Celebre nell’immaginario collettivo per il secondo movimento, si tratta infatti di una serie di variazioni dell’inno di cui il quartetto propone la versione minimale e originale affidata agli archi, che Haydn scrisse per Francesco II e che sarebbe divenuto poi l’inno della Germania. Ben più anomala, particolare e audace è la seconda opera proposta dal quartetto: si fa un salto nel tempo e ci si proietta in pieno Novecento, in quella Scuola di Vienna che attraverso l’atonalismo e la dodecafonia ha rivoluzionato il linguaggio musicale della tradizione. I quattro giovani si cimentano con quello che probabilmente è il compositore più radicale di quella generazione, ossia Anton Webern: le 6 Bagatelleopera breve quanto densa e rivoluzionaria, sono l’espressione più pura del modernismo in musica. Il sacrificio della tonalità e l’introduzione di nuove regole compositive si concretizzano in quest’opera, di una difficoltà esecutiva difficilmente percepibile dall’esterno (e questo è uno dei paradossi strutturali della Nuova musica). Si tratta di suoni, vibrazioni, note che galleggiano come tensioni nell’aria, capaci di ispirare quello che secondo Webern è il cuore e l’essenza della musica da sempre, ossia il silenzio.

La bravura del quartetto è ulteriormente dimostrata nella perfetta e calibrata esecuzione del Quartetto in do minore op. 51 di Johannes Brahms, la figura che media tra la classicità di Haydn e la musica del Novecento, e che in qualche maniera la anticipa e la annuncia. Il quartetto allude alla dimensione sinfonica dell’opera brahmsiana, irrequieto e teso col finale di grande energia. Il Quartetto Guadagnini dimostra al pubblico la capacità di spaziare in maniera disinvolta tra questi grandi maestri, compreso il finale del bis dove si è omaggiato quello che è il genio che ha ispirato tutti loro, ossia Bach e L’arte della fuga: un viaggio completo e ampio, tra secoli e movimenti, generi e stili, capaci di raccontare la “modernità” in tutta la sua irriducibile complessità.

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