“Un viaggio dal Mediterraneo all’Europa del Nord, ma a passo di danza”, il Quartetto Guadagnini a SpazioTeatro89 (MiTo 2018)

Il Quartetto Guadagnini ha pienamente reso quest’emozione, con mille giochi di suoni, fraseggi imprevisti ed esaltazioni delle cangianti armonie, tanto da rendere questa composizione qualcosa che “sapesse di nuovo”.
— Andrea Rocchi - Le Salon Musical

Un programma molto interessante e dai molteplici fils rouges quello proposto ieri sera, 13 Settembre, a Milano dal Quartetto Guadagnini. Dal Kaiserquartett haydniano al focoso Quartetto Op.27 di Grieg e passando per Hugo Wolf, questa giovane formazione – nata nel 2012 e arrivata presto a tenere recitals in prestigiose sale e teatri, oltre che registrare le composizioni di autori contemporanei come l’italiana Silvia Colasanti – ha saputo rivelare tutti gli aspetti che animano le musiche messe in programma.

Sin dal primo attacco si è potuta notare la ricercatezza del fraseggio e delle belle sonorità, quel grazioso ben noto del grande Haydn; la spigliatezza ritmica, la cantabilità – distesa, espressiva, piena, ma senza sentimentalismo – del Poco adagio, cantabile, tema (con variazioni) noto ai più per aver preso il posto dell’inno nazionale tedesco. Vigoroso anche il Presto, che sembra sterzare improvvisamente la lietezza generale degli altri movimenti della composizione e illudere una chiusura d’opera dall’umore teso e combattuto, ma che, come una strizzata d’occhio, si risolve in un luminoso e riappacificante Do maggiore.

Quindi ecco la ben nota – e suonata – Italianische Serenade, primo tempo di un’ipotesi di suite del compositore. Wolf stesso infatti, nelle lettere, accenna ad un secondo movimento già completato, ma del quale non si conoscono che 45 misure, abbozzate. Si conosce, inoltre, anche qualche pagina di una Tarantella, che avrebbe dovuto occupare il movimento conclusivo, ma che Wolf non portò mai a termine. La Serenata Italiana ci trasporta in un universo danzato, vibrante ed eccitato, che non cede mai la tensione. Il Quartetto Guadagnini ha pienamente reso quest’emozione, con mille giochi di suoni, fraseggi imprevisti ed esaltazioni delle cangianti armonie, tanto da rendere questa composizione qualcosa che “sapesse di nuovo”.

Dopo una breve pausa, la seconda parte del concerto è dedicata al Secondo Quartetto per archi Op.27, in Sol minore, di Edvard Grieg. Quest’ampia pagina di musica – totalmente, ininterrottamente pervasa di passione e di slancio – ci sposta di colpo dai profumi mediterranei ai paesaggi finlandesi, eppure restando aggrappata al tacco dell’Europa grazie alla scelta di un frenetico e febbricitante Presto al Saltarello a chiudere l’opera. Il primo tempo, Un poco Andante – Allegro molto ed agitato, mostra senza remore né attese il suo carattere focoso – a tratti veemente, rude: la scrittura è quasi sempre densa, e la sonorità piena; l’insistenza delle appoggiature rende il discorso “affannato”, quasi ansimante, tormentato. La Romanze che si innesta fra il primo tempo e l’Intermezzo – il quale non manca affatto di input popolari, pur avendo un’impronta massiccia come il primo movimento – è inizialmente dolce e sinuosa, ma, al suo centro, serba un’ulteriore inquietudine, qualcosa che ci desta dalla pace iniziale (prima di ritornarci nuovamente, come ogni Romanza che si rispetti).

Non si può non fare accenno alla bravura del Quartetto nel rendere tutto questo aufschwung musicale, questa multiformità di sentimenti e di scritture musicali. In particolare il primo violino, Fabrizio Zoffoli, che ha dato prova di una padronanza strumentale tecnica ed espressiva veramente notevole.

Dopo tre scrosci di applausi il Guadagnini regala come bis un’imprevedibile e metamorfica Polka di Šostakovič (tratta da The Golden Age), dando una volta di più saggio dell’abilità esecutiva, della cura dell’insieme e della comunione di intenti, caratteristiche necessarie a fare ottime sintesi anche di brevi composizioni così “bizzarre” e piccanti.

Andrea Rocchi ©
(13 settembre 2018)